sabato 21 dicembre 2013

Un matrimonio, la fiction di Pupi Avati.



Cinquant’anni di matrimonio e di vita. Sono quelli raccontati da Pupi Avati in “Un matrimonio”, una fiction in sei puntate che Raiuno propone in prima serata da domenica 29 dicembre. Tutto è partito, ricorda il regista, dal quarantesimo anniversario del suo matrimonio: “Al termine della festa, guardando mia moglie, mi sono chiesto come fosse stato possibile che quella ragazzina della quale mi ero innamorato a prima vista si fosse tradotta nella donna che mi sarebbe stata accanto in un percorso così lungo”. Una donna che, aggiunge sorridendo, “avevo sposato senza conoscere tanto, solo perché era molto carina ed immaginando che sarebbe rimasta sempre molto carina”. Con il tempo, invece, “è diventata meno carina, ma più importante, abbiamo condiviso una vita, i miei occhi sulla vita sono diventati quattro con i suoi. E’ meraviglioso essere con lei che mi ha visto al meglio e al peggio in tutte le età della mia vita”. Non ci stupisce che “Un matrimonio” partendo da questi racconti un’unione lunga e felice anche se non è esattamente una storia di rose e fiori in cui tutti i giorni ci sono solo baci, carezze e sorrisi, ma include tutto ciò che succede nei matrimoni i lati più belli e quelli più brutti. Questo film è una lunga storia familiare, in cui Avati mette il matrimonio al centro. La storia di "Un matrimonio" è raccontata, come in un lunghissimo flashback, da una delle figlie della coppia protagonista, Anna Paola. Si parte dal primo incontro tra i suoi genitori, Carlo e Francesca, sulle rive del fiume Reno a Sasso Marconi. E’ il 1948 ed entrambi sono fidanzati con altre persone, ma al primo sguardo, Francesca capisce che quello è l’uomo della sua vita: “Lo vede e dice: è mio, me lo prendo e se l’è preso” commenta la Ramazzotti che, rivolta ad Avati, dice: “Per sei mesi, durante le riprese, sono entrata nel tuo matrimonio, partendo da una giovane ingenua e un po’ incapace che, però, ha dentro un sogno e una grande vitalità. E diventa la padrona di una famiglia, forte e determinata, con grazia e garbo. Una donna che è sana in un matrimonio sano”. A questo proposito, il regista osserva che “oggi le storie televisive e cinematografiche che riguardano la famiglia ne privilegiano le dissonanze. La storia di mezzo secolo del nostro Paese narrata attraverso un matrimonio che ‘regge’ è quanto di più in controtendenza si possa proporre”se vede il matrimonio in un’ottica diversa e dimostra che anche quelle delle famiglie felici sono storie ricche e degne di essere raccontate. "Un matrimonio" è realizzato da Antonio Avati (per Duea Film) per Rai Fiction. Nel cast, oltre ai due protagonisti, ci sono tra gli altri: Valeria Fabrizi, Andrea Roncato, Antonella Ferrari, Giorgio Borghetti, Katia Ricciarelli, Roberto Ciufoli, Gisella Sofio, Mariella Valentini, Ettore Bassi e Corrado Tedeschi. C’è anche la partecipazione di Christian De Sica.

Martina Perucca

giovedì 19 dicembre 2013

L'attrice Eva De Rosa.



Eva De Rosa, nativa di Luino (Varese), ma da sempre residente a Caserta è un’attrice di teatro e cinema, cabarettista, regista, conduttrice televisiva ed autrice di testi teatrali. Eva comincia la sua avventura teatrale nel 1992 come attrice nella compagnia stabile del teatro "Izzo" di Caserta dove ben presto ne diventa un punto cardine interpretando parti sempre più di rilevo. Con il passare del tempo e dopo numerose esperienze teatrali sia “filodrammatiche”  sia “professionistiche”,  la De Rosa crea un suo gruppo, i “Senza fili” compagnia dove oltre ad esserne il direttore artistico, vi partecipa come attrice e ne firma la regia. Vincitrice di vari premi regionale e nazionale, sia come attrice sia come regista; nel 2010 comincia un suo percorso televisivo in RAI-TV con varie performance alla trasmissione “Verdetto Finale” e presso varie emittenti regionali in qualità di conduttrice.  Maturata la sua esperienza nel settore, s’inserisce, con un impegno sostanzioso nel gruppo organizzativo della fortunata trasmissione dedicata al teatro  dal titolo  “Indovina chi c’è a teatro”, in onda dall’anno 2011, di cui è a tuttoggi la conduttrice. Sempre negli stessi anni, iscritta alla SIAE nella categoria “Autori” e con qualifica “D.O.R. - Autore del Testo”,  inizia un sodalizio d’amicizia e scrittura teatrale a quattro mani con Massimo Canzano. Da quest’unione nascono diversi pezzi cabarettistici  per uno, due e tre personaggi  e due commedie: “Non tutte le corna vengono per nuocere” (2012) commedia brillante in due atti che affronta il tema della vita di coppia, quando la serenità della stessa è minacciata dagli inciuci del quartiere ed “In fuga con il catetere” (2013) un esilarante atto unico che in modo brillante affronta il tema della terza età. Informazioni e contatti: www.evaderosa.weebly.com - derosa.eva@libero.it

mercoledì 11 dicembre 2013

Still Life dal 12 dicembre al cinema (di Martina Perucca).



Qual è il valore che la società attribuisce alla vita dei singoli individui? Com’è possibile che tante persone siano dimenticate e muoiano sole? Queste sono le domande che Umberto Pasolini si è posto per scrivere e dirigere “Still life” il suo secondo lungometraggio che uscirà il 12 dicembre nelle sale. Un film che parla di fatti e persone reali, ispirato dalla lettura di un articolo, su un giornale, che riguardava uomini e donne il cui lavoro è quello di organizzare il funerale di persone che muoiono senza lasciare nessuno dietro di sé, riconoscendo nella loro professione qualcosa di profondo e al tempo stesso universale. Pasolini rimase colpito dal pensiero di tante tombe solitarie e funzioni funebri deserte un’immagine forte che fa pensare alla morte e al significato d’appartenenza ad una comunità. Egli ci fa ragionare sul fatto che la qualità di una società si può giudicare dal valore che questa assegna ai suoi membri più deboli, in altre parole i morti. Il modo in cui si trattano i defunti è dunque il riflesso del modo in cui la nostra società tratta i vivi. Nella società occidentale è molto facile dimenticare come si onorano i morti, poiché spesso non è dato il giusto riconoscimento alla vita passata di ciascun individuo. Pasolini ha quindi creato un film intrecciando tra loro tutti questi pensieri e idee, partendo della creazione del protagonista, un funzionario comunale addetto ad occuparsi dei funerali di persone morte in solitudine, John May, un uomo di mezza età meticoloso e coscienzioso che fa una vita solitaria e statica, il cui ultimo incarico prima di essere licenziato per esubero consiste nell’organizzare il funerale di un uomo morto da solo che vive in un appartamento dirimpetto al suo. Fermamente deciso a rendere il suo ultimo lavoro un successo, egli si mette in viaggio in tutto il paese alla ricerca dei parenti e degli amici del defunto. Nel corso del tragitto incontra la figlia abbandonata dell’uomo che gli prospetta la possibilità di un futuro d’amore e compagnia. “Still life”, ancora vita, proprio come allude il titolo, a cui, però si possono dare varie letture e un interpretazione personale. Le immagini che vediamo ci mostrano la quotidianità del protagonista e del suo mestiere svolto con grande quiete e staticità. Grazie alla recitazione di Eddie Marsan, emerge la complessità e la veridicità del personaggio, nella recitazione contenuta ma emotivamente molto forte rendendo il film d’impatto, attribuendogli un’immensa potenza. La solitudine di John May è intrinseca nel film, ma lui non ha la percezione del proprio isolamento non rendendosi conto che esiste un altro modo di vivere. La sua vita ci sembra vuota, ma in realtà lui si sente realizzato nel suo lavoro, ed è piena delle esistenze dimenticate a cui lui si dedica. Nel corso del film John, però inizia ad aprirsi a sperimentare nuovi piatti, a visitare posti, in segno di miglioramento, d’evoluzione, d’apertura di nuove possibilità. Questo lungometraggio Pasolini lo definisce a “volume basso”, con pochi dialoghi, ma essenziali, musica che non si sente immediatamente e anche i colori inizialmente poco definiti s’intensificano man mano con i cambiamenti e i progressi del protagonista. Un film non banale ma intelligente che ci lascia in qualche modo riflettere sulla nostra società.
Martina Perucca